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Un’antica abbazia nelle campagne tra Palazzolo e Noto

di Marco Monterosso
Un’antica abbazia nelle campagne tra Palazzolo e Noto

In contrada Arco, tra Palazzolo e Noto si conservano ancora oggi, seppur sempre più labili, le tracce di un’antica abbazia cistercense quella di Santa Maria dell’Arco. Da un atto pervenutoci in copia (Rocco Pirri, Sicilia Sacra, 1a Ed.1630-1649) sappiamo che l’abbazia fu fondata nel 1212 dal “dominus” di Noto lsembardo di Morengia e dalla moglie Cara.

Questi dotarono i cistercensi di estesi possedimenti tra cui i tenimenti di Pianette, Gaetani e Canseria e il feudo Bulchachemi, nei pressi del litorale di Noto. I fondatori concedevano anche una serie di privilegi tra cui: l’utilizzo di un mulino e di un “Battinderi”, (impianto idraulico per la follatura della lana) di Manghisi, l’uso del bosco e il diritto di pesca “…piscaturam in flumine, cum omnibus juribus et rationibus suis”. Primo abate di S. Maria de Arcu, come riportato nel diploma di fondazione, fu tale “Rodulphum” proveniente, probabilmente, dal monastero di S. Maria di Novara di Sicilia.

La mancanza di fonti storiografiche impedisce una puntuale ricostruzione della fase successiva alla fondazione almeno fino al 1371, quando risulta abate il frate Benedictus de Aquila. Questi, descritto dalle cronache “dissoluto nei costumi” e incapace di amministrare i beni dell’abbazia, fu destituito nel 1375 da Manfredi Alagona che favori l’elezione di Guillelmus de Minot. Successivamente, per volontà del duca Martino, frate Guglielmo venne trasferito al monastero di Altofonte mentre a S. Maria dell’Arco, attorno al 1392, venne reintegrato l’ormai anziano Benedetto de Aquila, la cui destituzione ad opera dell’Alagona fu considerata illegale. Dopo poco tempo tuttavia, anche la corona si rese conto dell’evidente incapacità di Benedetto nella conduzione del monastero cosicché questi fu affiancato fino alla sua morte, avvenuta nel 1398, da Joannes Melli di Scilla “coadiuatore, coammnistratore e governatore del monastero”

L’incertezza delle nomine abbaziali e il loro prolungarsi spinse re Martino ad inaugurare la prassi di concedere l’abazia in regime di commenda, primo commendatario fu tale Giovanni de Monteforte. Nel 1399, sempre in regime di commenda, S. Maria de Arcu passò in mano di Giacomo, abate dei SS. Felice e Fortunato di Ammiana (Venezia), un religioso particolarmente attivo nella politica del tempo. Tuttavia le rendite dell’abbazia continuavano inesorabilmente a diminuire, sia perché il regime di commenda non garantiva una reale sorveglianza delle rendite del monastero, sia per le “pensioni” dovute ad altri ecclesiastici che ne intaccavano pesantemente il patrimonio. Alla morte dell’abate Giacomo, nel 1406, il re concesse l’abbazia, a Giovanni de Triest.

Con la ricomposizione dello scisma avignonese (1378 – 1418) e la riappacificazione tra Alfonso il Magnanimo e Papa Martino V, il monastero netino, nell’anno 1429, ebbe finalmente un suo abate regolare, il catanese Andrea de Piscibus. Da allora e fino al 1812, gli abati di S. Maria dell’Arco sedettero, di diritto, tra i prelati del braccio ecclesiastico del Parlamento siciliano.

Nel 1608, ritenuti “insalubri” i luoghi su cui era stata fondata l’abazia, i monaci decisero di spostarsi all’interno della città di Noto. Qui edificarono un nuovo edificio religioso che, probabilmente ancora in fase di costruzione, fu completamente devastato dal terremoto del 1693. Un ulteriore complesso monastico fu cosi edificato nel nuovo sito scelto per la rifondazione della città. I lavori di costruzione iniziati nel 1729 furono affidati a due protagonisti indiscussi della ricostruzione barocca di Noto: l’architetto Rosario Gagliardi e Vincenzo Sinatra, “magister intagliatore”.

A metà ‘700 la comunità cistercense di Noto disponeva ancora di cospicue rendite. (Rocco Pirri, Sicilia Sacra, 3a Ed. 1733)  Le entrate ammontavano a 1750 Scudi (250 da Gaetani, 800 da Pianette e 700 dall’Arco) mentre le uscite erano di circa 1160 Scudi (572 per il vitto dei monaci, la riparazione delle “fabbriche”, il culto e gli “ornamenti”, 250 per la costruzione del nuovo monastero e della chiesa a Noto e 339 per “tasse”). Nel 1789 il monastero cistercense, abitato da pochissimi monaci, fu definitivamente soppresso e i suoi beni trasferiti alla diocesi.

La chiesa di Santa Maria dell’Arco, ancora oggi esistente a Noto, lungo la via Ducezio, conserva al suo interno le reliquie del Beato Nicolò, figlio del fondatore dell’abbazia, Isimbardo Morengia.

Foto tratte da: Gabinetto Fotografico Nazionale, Buratta, Fabrizio – Stocchi, Albino, Noto – Chiesa di S. Maria dell’Arco, 2005, fotografie digitali, DGT003445-47

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