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Belvedere 1850: “la miseria li assoggetta a corcarsi sulla paglia a terra per letto”

di Marco Monterosso
belvedere

Dopo l’abolizione del regime feudale, con deliberazione del 23 dicembre 1818, i comuni di San Paolo Solarino, Canicattini Bagni, Priolo e Belvedere furono aggregati all’amministrazione della città di Siracusa. La motivazione era tanto semplice quanto lapidaria “quasi tutta la popolazione risulta analfabeta e quindi incapace di autoamministrarsi”

Se dopo svariate suppliche e proteste Canicattini Bagni e Solarino, nel 1827, ottennero l’autonomia da Siracusa, Belvedere e Priolo non riuscirono nell’intento anche a causa del bassissimo numero di abitanti, iniziando da allora ad essere definiti come “comunelli” o “sottocomuni”. Da alcuni atti appare evidente che la realtà socio economica di gran parte di questi piccoli paesi era contrassegnata a quel tempo da una profonda povertà e mancanza di mezzi. Così ad esempio, in una relazione del 2 aprile 1846, appaiono lungimiranti le considerazioni del direttore delle “Contribuzioni Dirette” sulle condizioni in cui versavano i piccoli comuni siciliani:

“Belvedere conta 224 villici di miserabili coltivatori. Gli abitatori sono generalmente terranei e vivono in umidi fabbricati di pietra informe e di terra con esterna intonacatura di calce, senza pavimenti e mal disposti ai rigori delle stagioni… Non conservando a tanta distanza relazioni ufficiali coi comuni… mancano di tutto, anche degli oggetti di prima necessità. Queste colonie agrarie avrebbero bisogno di agevolazioni e di sussidi… e mai di imposizioni o di dazi per altro di impossibili riscossioni…”.

Belvedere 1850: “la miseria li assoggetta a corcarsi sulla paglia a terra per letto”

Nonostante le ristrettezze di bilancio non consentivano investimenti per risollevare le misere sorti dei comunelli, secondo una legge del 1816, i comuni avevano tuttavia l’obbligo di stipendiare ogni anno, durante la quaresima, dei predicatori. Sacerdoti, sia diocesani che regolari, che per la loro eloquenza e dottrina venivano scelti dal vescovo su una terna presentata da ogni singolo comune. La corrispondenza tra il sottintendente di Noto (allora capoluogo di provincia), il sindaco di Siracusa e “l’eletto” (l’attuale delegato) di Belvedere per la quaresima del 1850 ci è anch’essa utile per avere un ulteriore spaccato delle condizioni in cui viveva a quel tempo il comunello. Il 28 gennaio 1850 il sottintendente Cortada, scrivendo al sindaco comunicava che:

“al primo giorno di Quaresima si troveranno per ognuno dei sottocomuni di Belvedere e Priolo quattro sacerdoti per l’obietto, io nel renderla informata La invito ad emettere subito analoghe disposizioni perché in ognuno di detti sottocomuni sia preparata una decente abitazione coi rispettivi letti, il mantenimento di otto giorni, le vetture per trasportare i detti sacerdoti nei detti comunelli ed una persona di servizio per accudirli in tutto. Ove le mancheranno i mezzi per fare tali spese convertirà il fondo per la predicazione quaresimale siccome dalla lodata Maestà Sovrana è stato prescritto. Le raccomando intanto efficacemente che in tali erogazioni si proceda con la massima esattezza e perché non si permetta sciupio di denari, Ella ed il Parroco, riuniti sceglieranno una Deputazione di persone distinte per onestà, zelo e pietà la quale avrà cura di sorvegliare per la spesa e tutt’altro all’uopo necessario. Mi tenga avvisato dello adempimento”.

Il sindaco di Siracusa senza troppa fatica scaricò la richiesta del Sottintendente ai due eletti di Priolo e Belvedere. Non conosciamo la risposta del primo ma quello di Belvedere, Pietro Miceli, così causticamente rispose, il 3 febbraio 1850:

“… in questo comunello non esistono palazzi ma piccole case in una sola stanza, ma pregando questi naturali si possono accomodare separatamente uno, per uno, mandando Ella l’occorrente come sarebbero i quattro lettini, la persona di servizio e il denaro per il mantenimento di otto giorni dei detti sacerdoti, mentre questo comunello viene da Ella amministrato e nessun introito ha, e che la miseria di questi naturali li assoggetta a corcarsi sulla paglia, a terra per letto e meschinamente possono tirare avanti la vita col giornaliero carico di legni che smerciano nella città di Siracusa”.

di Marco Monterosso

I due documenti citati sono tratti da: Luigi Carta, L’agro priolese, Vol. V, Priolo G. (SR), 2006

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