Se quest’estate vorrete dedicare un giorno delle vostre vacanze al territorio siciliano vi consiglio di visitare Scaletta Zanclea, grazioso paesino della costa ionica, tra Taormina e Messina
Oltre a godere delle belle spiagge di Scaletta Marina potrete visitare infatti anche il castello (oggi conosciuto come Ruffo) che domina il centro abitato.
Eretto nel 1220 per ordine dell’imperatore Federico II, la sua architettura ha dovuto piegarsi alle esigenze topografiche che hanno imposto soluzioni obbligate.
La pianta è trapezoidale, con i due assi principali che misurano circa 18 mt per 20 m. Nonostante non sia esattamente rettangolare, il modello di Scaletta sembra ricalcare i dongioni normanni di Paternò, Adrano e Motta S. Anastasia.
L’edificio diviso in tre livelli, presenta una muratura in pietra calcarea non sbozzata, tenuta insieme da malta, i cantonali e le finiture decorative sono invece eseguiti con blocchi calcarei ben squadrati.
L’ingresso principale, caratterizzato da una porta ogivale, si apre sul prospetto di nord-ovest. Nel lato orientale, che guarda sullo stretto, fu realizzata una mulattiera, che tuttora congiunge, “la marina” al castello.
Seppur allo stato attuale risente dei numerosi rimaneggiamenti successivi, specie nel corso del Seicento quando fu dotato di artiglierie e tra Otto e Novecento, quando fu adibito a residenza di caccia, il castello trasmette ancora il fascino del suo glorioso passato.
Concesso da Federico II a Matteo Selvaggio, nel 1240 vi nacque infatti la celebre Macalda di Scaletta, nipote dello stesso Selvaggio.
Questa, nonostante discendente da un semplice castellano, “fiera amazzone, educata alle armi e al coraggio, dotata di un portamento marziale, mossa da un’indole cinica e ambiziosa”, sposò Guglielmo Amico, che un tempo era stato barone di Ficarra ma era stato spogliato dei suoi beni durante la dinastia sveva.
Alla morte di questi le cronache narrano che Macalda, nonostante avesse “esibito già più volte un contegno non impeccabile”, riuscì ad entrare nelle grazie di Carlo d’Angiò, il quale la riconobbe nel possesso dei beni del suo defunto marito.
Probabilmente per volere dello stesso re Carlo Macalda andò in sposa ad Alaimo da Lentini, uno dei personaggi più influenti della corte angioina. Da lì a breve però sia Alaimo che Macalda aderirono alla rivolta del Vespro con il primo che difendeva Messina dal contrattacco angioino e la seconda diventata di fatto governatrice di Catania, in sostituzione del marito.
Per il ruolo avuto nei fatti del Vespro Macalda e Alaimo fecero parte della nuova corte, “così intimi del re da essere ammessi a sedere anche alla sua mensa”, Alaimo inoltre fu nominato Maestro Giustiziere, la più alta autorità giurisdizionale del regno.
Narrano le cronache che Macalda, avendo tentato inutilmente di sedurre lo stesso re Pietro, “inaugurava una stagione di folle e dispendiosa rivalità con la regina, della cui persona evitava accuratamente la frequentazione, se non nelle occasioni in cui potersi vantare di una particolare acconciatura o far sfoggio di qualche speciale veste intessuta in porpora imperiale”.
Intanto il comportamento indulgente tenuto nei confronti di Carlo lo Zoppo, figlio di Carlo d’Angiò, portò Alaimo ad un forte ostilità con il nuovo re Giacomo I che, sospettandolo di congiura, nel novembre 1284 lo inviò in Aragona, alla corte del padre.
Poco dopo la partenza di Alaimo fu rivelata anche una corrispondenza che egli avrebbe intrattenuto segretamente con il re di Francia a cui seguirono degli arresti che finirono per colpire anche Macalda, imprigionata nel castello di Messina, insieme ai figli.
Sorte ben peggiore toccò al fratello Matteo, decapitato ad Agrigento il 13 gennaio 1285. Alaimo fu trattenuto a lungo in Catalogna, protetto dalla sincera benevolenza di re Pietro e, finché quest’ultimo fu in vita, gli fu risparmiato ogni pericolo. Morto però il re d’Aragona, Alaimo non sopravvisse all’avversione di Giacomo I, che convinse il fratello primogenito Alfonso III a consegnarglielo.
Così, nell’agosto 1287 Alaimo veniva affidato ad un inviato di Giacomo, che avrebbe dovuto ricondurlo in Sicilia. Quando la traversata volgeva ormai al termine lui e i suoi nipoti furono però condotti sul ponte della nave dove fu letta la condanna a morte voluta da re Giacomo.
Avvolti in lenzuoli e zavorrati, furono gettati vivi in mare, secondo il rituale della cosiddetta mazzeratura. Macalda sopravvisse invece, seppur le cronache non ne fanno più cenno, almeno fino al 1308.
La turbolenta vicenda di Macalda è stata ampiamente riportata, in realtà con valutazioni abbastanza diverse, sia da cronisti suoi contemporanei come Bartolomeo di Neocastro e Bernat Desclot sia da Boccaccio nel suo celebre Decameron.
Dopo la sua riscoperta ottocentesca, il mito di Macalda divenne inoltre fonte d’ispirazione per diversi romanzi, pièce teatrali e melodrammi.
Il castello di Scaletta Zanclea, donato al comune dalla famiglia Ruffo che ne ebbe la proprietà dal 1673 al 1969, ospita un piccolo museo ed è visitabile dal martedì alla domenica dalle 9 alle 19.
Per maggiori informazioni 090 951494 – info@comunescalettazanclea.it
Foto di Rosario Pappalardo ed Etnanatura
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