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IL DIBATTITO

L’unicità è il criterio per gli spettacoli nei teatri antichi

di Giuseppe Attardi
L’unicità è il criterio per gli spettacoli nei teatri antichi

Aprire i monumenti alla città, ma mettendo quelle regole che sono mancate nella rinascita di Ortigia

Siamo alle solite. Ogni volta che la musica sfiora il Teatro greco di Siracusa si alza il vento delle polemiche, si inalberano gli strenui difensori dei Beni culturali e soffiano tromboni sfiatati della politica. È un refrain ormai tradizionale di ogni estate aretusea.

Adesso a scatenare indignazione e proteste sono i concerti, definiti “rock”, di Elisa e Gianna Nannini, capaci di trascinare nell’antica cavea, secondo alcuni, folle di barbari pronti a distruggere tutto. «Perché il pubblico rock è più caotico e meno attento», spiega il critico d’arte Vittorio Sgarbi.

Più dettagliato nella sua contestazione l’archeologo del Cnr, Fabio Caruso, che precisa in una intervista all’agenzia Agi i motivi della fragilità del Teatro siracusano rispetto a quello di Taormina e all’Arena di Verona. Motivi per i quali sarebbero da evitare i concerti rock. «A Taormina ci sediamo sulle pietre del 1960; a Siracusa le pietre sono di 2.300 anni fa». E si appella alla “Carta di Siracusa per la conservazione, fruizione e gestione delle architetture teatrali antiche” che impone una preventiva conoscenza dello stato di salute di ciascuna delle parti del bene culturale: cavea, orchestra, edificio scenico, acustica.

Non intendo controbattere le tesi di Sgarbi e di Caruso. Tutt’altro. Anzi, potrei aggiungere anche l’incidenza dei decibel prodotti dagli altoparlanti tra i rischi per la sicurezza di un monumento. Ma non ritengo sia questo il problema. Sia per Siracusa, come per Taormina.

Perché un monumento, sia esso un Teatro antico o un Tempio, o anche un quartiere storico, non diventi natura morta deve essere vissuto e sentito dai cittadini come qualcosa di proprio, di importante nella vita quotidiana. In tal senso è giusto che vengano aperti non solo alla fruizione del turista, dello straniero, ma anche della città. Accogliendo spettacoli, momenti di aggregazione. Mettendo delle regole, quelle regole, ad esempio, che sono mancate nella rinascita di Ortigia, abbandonata alla mercificazione, alienazione, inautenticità di un boom turistico incontrollato.

Il nodo centrale del dibattito non è chiudere o no le bellezze architettoniche agli spettacoli. È, semmai, quali spettacoli mettere in scena. E il criterio è uno solo: l’unicità, come unici sono alcuni monumenti siciliani. Entrare in un teatro di pietra deve essere una conquista, un riconoscimento al valore dell’artista e dello spettacolo che presenta. Unicità significa una performance creata appositamente per quello spazio, come lo sono le rappresentazioni classiche di Siracusa o come fece nel 2011 Jovanotti a Taormina con la Roma Sinfonietta diretta da Paolo Buonvino. Unicità equivale a irripetibilità: fuori da quel luogo lo spettacolo assumerebbe un altro valore o significato. Unicità è la chiave per conquistare l’attenzione nazionale, e non solo, dei mass media (vedi, nel suo piccolo, il caso di Ortigia Sound System). Unicità, come accadde per il rapper di Cortona, comporterebbe la pubblicazione di documenti sonori o visivi o, come si ripete per le tragedie classiche, dirette o differite televisive.

Portare al Teatro greco di Siracusa o a Taormina spettacoli di giro, alcuni dei quali già visti in teatro in inverno, non ha alcun senso. Ed è solo fonte di polemiche.

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