In contrada “Coste” a Palagonia si conservano i resti di una necropoli e di un villaggio capannicolo dell’età del Bronzo Antico che hanno restituito un ricco corredo di vasi, oggetti in metallo e in selce per lavorazioni artigianali, strumenti atti alla tessitura e matrici per la fusione dei metalli
Probabilmente, già in età siceliota, parte delle tombe della necropoli, dopo essere state riadattate, furono utilizzate per altri usi come dimostrerebbero anche alcune iscrizioni. (L. Maniscalco, La necropoli delle Coste di S. Febronia presso Palagonia, in “Kokalos”, 1997)
Secondo un’ipotesi ampiamente diffusa, riportata anche nel pannello informativo in sito, tra il VI e il VII sec. d.C. degli “eremiti bizantini”, probabilmente riadattando anch’essi un’antica sepoltura, realizzarono una chiesa dedicata a Santa Febronia.
La tradizione narra che Febronia era una giovane monaca, che viveva a Nisibi (oggi Nusaybin, in Turchia).
Durante le persecuzioni di Diocleziano, essendosi rifiutata di fuggire assieme alle sue compagne, venne arrestata e sottoposta ad un lungo e cruento martirio finché, tra il 286 e il 304 d.C, venne decapitata. (M. Stelladoro, Santa Febronia. Vergine e martire sotto Diocleziano, 2011)
La chiesa presenta una forma quadrangolare, leggermente convessa sul lato settentrionale, dove sono presenti sia la porta principale di accesso sia una finestra che consente di conferire luce al vano rupestre.
Un ulteriore accesso alla chiesa fu realizzato intagliando una scala sul banco roccioso del versante est. L’abside, canonicamente rivolto ad oriente e sui cui è addossato l’altare, presenta un affresco raffigurante il Cristo Pantocratore, contornato da un’Annunciazione e da altre quattro figure sullo sfondo.
Ai lati dell’abside, sormontata da una sorta di corona decorativa realizzata attraverso un sapiente sfasamento del livello del soffitto, sono rappresentati invece il martirio di santa Febronia e quello di san Bartolomeo.
Un ulteriore altare era presente sul lato meridionale con affreschi di S. Lucia, un santo vescovo, un Angelo orante, S. Agata e S. Anastasia.
Sul lato occidentale e parte di quello meridionale sono intagliati, su due livelli, dei sedili probabilmente destinati ad accogliere i fedeli durante l’officiatura dei riti.
In prossimità di questi sedili lapidei, attraverso alcuni scalini intagliati nel calcare, si raggiunge un piccolo ambiente che presenta delle nicchie utilizzate come colatoi dei defunti.
Se il mantenimento dell’orientamento canonico dell’abside e l’assenza di tracce di un templon, che nelle chiese di rito greco, a partire dall’XI secolo, comportava la netta separazione degli spazi liturgici, confermerebbero una datazione a fasi precedenti la conquista musulmana, altri elementi rimandano invece a fasi chiaramente successive.
La presenza dell’altare “alla latina”, la corona decorativa sul soffitto e il variegato apparato iconografico presente, il cui ciclo pittorico va dal XIV al XVIII secolo, consentono di ipotizzare anche una sua realizzazione più tarda. (V. G. Rizzone – A. M. Sammito, Per una definizione dello sviluppo delle chiese rupestri del Val di Noto,2011)
Lo stesso riferimento ad una originaria dedicazione della chiesa S. Febronia appare controverso poiché quel culto si affermò in oriente non prima del VII secolo mentre, una sua prima attestazione in occidente, sembra riscontrabile solo alla fine del IX secolo quando, probabilmente a Napoli, fu redatta una versione in lingua latina della sua passione.
(P. Chiesa, Le versioni latine della Passio sanctae Febroniae, 1990) A Palagonia le prime tracce di questo culto sono tra l’altro molto più tarde (metà Cinquecento?) diffondendosi ampiamente solo dopo il 1624 quando, secondo una notizia riportata da Rocco Pirri, poi tramandata da Giuseppe Pitrè, Fra’ Baldassarre da Licata, fu “costretto” da alcuni eventi miracolosi, a consegnare una reliquia, destinata alla vicina Militello, alla chiesa di Palagonia. (G. Pitrè, Feste Patronali in Sicilia, 1899).
La presenza all’interno della chiesa rupestre di un’area adibita a colatoio dei defunti rimanderebbe anch’essa, piuttosto che a pratiche funerarie “bizantine”, di cui non si ritrovano riscontri, a modalità di sacralizzazione della morte generalmente riferibili all’età Moderna.
Il putridarium delle Coste potrebbe essere certamente una realizzazione successiva ma attesterebbe, in ogni caso, la presenza di una comunità religiosa o di una confraternita, dato che tale metodo di trattamento dei cadaveri era generalmente riservato ad ambiti comunitari e privilegiati.
(AA.VV. Processi di tanatometamorfosi: pratiche di scolatura dei corpi e mummificazione nel Regno delle Due Sicilie, 2007)
Tra gli studiosi è ormai abbastanza diffusa l’ipotesi che il fenomeno rupestre abbia rappresentato in Sicilia una delle manifestazioni più significative e caratterizzanti della Sicilia islamica.
Mentre la particolare fioritura che questi centri vissero durante la dominazione normanna sarebbe da legare al riappropriarsi di quei luoghi da parte dell’elemento cristiano che ne sfruttò a fini abitativi gli anfratti, trasformandone alcuni in luoghi di culto.
A tal proposito resta ancora da indagare la relazione della chiesa delle Coste con il suo insediamento di riferimento dato che per altri siti, oggetto di maggiori indagini, ciò ha consentito di definire meglio un eventuale continuità tra l’età bizantina e quella normanna.
Anche la chiesa delle Coste di Palagonia potrebbe essere così legata alla prima fase della conquista normanna con un evidente continuità d’uso, a fini religiosi, fino a Settecento inoltrato.
La definizione di una cronologia assoluta in ambito rupestre, sia per la natura della sua architettura a “levare”, sia per l’assenza di depositi stratigrafici dovuti al continuo riutilizzo delle unità nel corso dei secoli, spesso senza soluzione di continuità, rimane tuttavia ancora problematica.
Foto di Angelo Magnano ©
© E' VIETATA LA RIPRODUZIONE - TUTTI I DIRITTI RISERVATI