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Il feudo “di Santa Lucia” a Siracusa

di Marco Monterosso
santa lucia

Il 31 marzo 1808, Tommaso Gargallo marchese di Castellentini, riceveva in censo perpetuo, “il feudo di S. Lucia esistente fuori le porte della Città di Siracusa, giusta li suoi veriori confini”.

Tuttavia, fino ad allora, di un feudo siracusano di tale nome non si ritrova quasi traccia, se non in qualche documento relativo alla tonnara di Santa Panagia.

E non si ritrova per due semplici motivi si trattava di una proprietà ecclesiastica, dunque non soggetta alle norme e alle procedure cui erano sottoposti i feudi “laici” e inoltre, in origine, non si chiamava così.

Per comprendere come si arrivò alla concessione fattane al Gargallo occorre analizzare dunque atti molto precedenti, soprattutto quelli relativi al monastero di Santa Lucia “fuori le mura” a cui, come si vedrà, era appartenuto.

Nel 1140 il monastero, di cui vi sono tracce documentali sin dal VI secolo al tempo di papa Gregorio Magno, fu donato dalla contessa Adelasia, nipote del Conte Ruggero d’Altavilla, alla chiesa di Cefalù.

Per garantirne il sostentamento, come era prassi al tempo, la contessa dotò il complesso religioso di estesi possedimenti tra cui i territori di Cirepici, Cardinale, Aguglia e Matila.

Nel corso del XIII secolo dapprima Federico II, poi re Manfredi, sottrassero tali beni alla diocesi di Cefalù, per assegnarli in prebenda ai loro cappellani, tuttavia in età angioina dovettero rientrare in possesso dei vescovi di Cefalù.

Nel XIV secolo un ennesimo dissidio, questa volta tra Federico III e il vescovo Roberto Campolo, determinò il trasferimento di fatto della chiesa di Santa Lucia e del suo patrimonio terriero nelle disponibilità dei vescovi siracusani.

Nel 1388 il vescovo Tommaso de Herbes ricostituendo il capitolo diocesano, assegnò infatti in “beneficio” i redditi delle terre appartenenti alla chiesa di Santa Lucia al canonico che rivestiva la dignità di tesoriere che ne godette “pacificamente” fino a metà Settecento.

In realtà è probabile che già a quel tempo l’originario patrimonio di Santa Lucia era stato sensibilmente ridotto, sia dalle alienazioni già praticate dai vescovi di Cefalù, sia per le innumerevoli usurpazioni cui il beneficio fu soggetto durante il caotico Trecento Siciliano.

Cosi certamente avvenne per il feudo Cardinale dapprima concesso a censo dai procuratori del vescovo di Cefalù, poi occupato dai Capobianco ed infine acquistato, nel 1393, dagli Arezzo seppur con un censo annuale di 40 onze dovute proprio alla chiesa di Santa Lucia.

Come si arrivò allora alla concessione di un feudo denominato di Santa Lucia a Tommaso Gargallo nel 1808 ? Bisogna risalire al 1745 quando alla morte di Don Pietro Impellizzeri che possedeva, in quanto tesoriere, il beneficio di S. Lucia, sorse una disputa tra i canonici Ignazio Gargallo e Sebastiano Landolina, entrambi intenzionati a succedergli.

Il Gargallo, ritenendo la nomina di regio patronato, aveva chiesto il beneficio al sovrano “per le fatiche e il denaro speso per rendersi benemerito presso la Regia Corona”, mentre il Landolina, convinto che tale beneficio fosse invece soggetto alla sola autorità ecclesiastica, rivolse la richiesta alla Santa Sede.

Gli uffici della corona non risposero mentre la curia romana, accettando le ragioni del Landolina, lo riconobbero nel diritto di subentrare all’Impellizzeri. Tuttavia il sovrano, nel solco della politica giurisdizionalista del tempo, nel 1752 dispose che tale pratica fosse esaminata dalla “Real Giunta di Sicilia”.

Dopo innumerevoli rinvii e ricorsi nel 1769 la Giunta riconobbe il beneficio di S. Lucia di Regio Patronato deliberando di conferirlo al canonico Ignazio Gargallo a condizione che i frutti si percepissero da don Filippo Gargallo, unico erede di don Ignazio (morto nello stesso anno), “fino alla estinzione delle spese sostenute dal medesimo per tal contesa”.

Il feudo “di Santa Lucia” a SiracusaTrascorsero diversi decenni finché agli inizi dell’Ottocento la sentenza fu ripresa da Tommaso Gargallo che, ben introdotto negli ambienti di corte e figlio di quel Filippo designato erede da don Ignazio, nel 1805 inoltrò al sovrano una richiesta affinché gli venisse concesso in enfiteusi “il Beneficio della Chiesa di S. Lucia, con una masseria detta impropriamente feudo dello stesso nome… pressoché simile ad una pietraia deserta, priva d’alberi, senz’acqua, senz’alberi etc”. Il Gargallo, che in virtù della sentenza del 1769 chiedeva che la concessione avvenisse senza aggiudicazione d’asta, si impegnava a spendere onze 400 in benfatti e si dichiarava disponibile al pagamento di un canone da stabilirsi “secondo lo stato dell’attuale gabella, come per l’enfiteusi dei fondi di Tremilia
e Cavasecca di pertinenza del Vescovo di Siracusa”. Dopo che il sovrano acconsentì alla trattativa privata, il 31 marzo 1808, negli uffici di Palermo preposti alla censuazione, il marchese Tommaso Gargallo riceveva finalmente “il feudo di S. Lucia esistente fuori le porte della Città di Siracusa, giusta li suoi veriori confini”.

Ecco dunque nato almeno etimologicamente, il feudo di Santa Lucia che in realtà non era altro che il feudo Matila già concesso dalla contessa Adelasia nel 1140 e probabilmente l’unico bene fondiario superstite di quella antica donazione.

I contorni della faccenda erano talmente indefiniti che, nell’assegnazione al Gargallo, non venivano indicati nemmeno i confini e l’estensione delle terre concesse. Confini che, dopo una perizia “dell’architetto camerale” Salvatore Ali, saranno indicati dallo stesso Gargallo nel rivelo del 1816: “…possiedo il detto feudo nominato di S. Lucia nel territorio di questa città, e nella contrada detta dei Teracati, confinante in più parti col mare di Oriente, colla strada pubblica detta Scala Greca e altri confini”.

Non solo la “pietraia deserta” si era ritrasformata in un feudo ma questo si estendeva, su oltre 500 ettari, dal convento dei Cappuccini alla tonnara di Santa Panagia, dal mare alla Scala Greca.

di Marco Monterosso

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