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Il Castelluccio di Noto

di Marco Monterosso
castelluccio di noto

Nei pressi della necropoli del Castelluccio, esplorata da Paolo Orsi sul finire dell’Ottocento e databile alla prima età del bronzo (XIX – XV secolo a.C.) si possono ancora scorgere i resti di un piccolo castello medievale.

Le notizie su questo castello sono alquanto lacunose e spesso anche fuorvianti rispetto alla sua stessa denominazione poiché qualche studioso lo ha identificato come il “castello vecchio di Noto” citato dalle fonti trecentesche, mentre altri ne hanno erroneamente individuato il committente in Giovanni Landolina.

In realtà il castello in questione, distante circa 8 km dall’antica Noto, rappresentava uno strumento di difesa avanzata della città verso l’entroterra, garantendo la copertura di un’area da cui eventuali attaccanti potevano agevolmente superare gli ostacoli naturali che la proteggevano.

Non si conosce la data precisa della sua costruzione ma è probabile che questa fu intrapresa durante il regno di Federico III (1296-1337), forse in una delle diverse fasi di recrudescenza dello scontro con gli angioini, quando “la Sicilia si coprì di mura, castelli e fortificazioni”. (F. Maurici, Castelli medievali, 2015)

Appare plausibile inoltre che il castello fu realizzato su diretta iniziativa sovrana dato che le terre di Castelluccio dopo il 1282 risultano gestite dalla regia curia ed ancora nel 1335 sono in possesso della regina Eleonora.

Successivamente, quelle terre passarono a Mateo Palizzi che però le tenne brevemente poiché, nel luglio del 1353 fu ucciso, insieme alla moglie e a un figlio, durante una sommossa scoppiata a Messina.

Il Castelluccio di Noto

Il primo documento che attesta la presenza di un’opera difensiva a Castelluccio risale al 1355 quando re Ludovico ordinò a Giovanni Landolina, capitano di Noto, “che fossero restituiti a Venezia e Isabella Palizzi i beni appartenuti al loro padre conte Matteo Palizzi esistenti nel val di Noto” potendo però trattenere “le spese sostenute per la custodia del fortino Castelluccio”. (A. Marrone, Repertorio degli atti della Cancelleria del regno di Sicilia, 2012) Un atto, dato a Messina il 20 febbraio 1356, dimostra in maniera chiara inoltre che non esisteva nessuna corrispondenza con i due castelli (vecchio e nuovo) di Noto e che probabilmente quelle terre iniziarono ad essere definite del Castelluccio, solo dopo la costruzione del maniero.

“Ordine a Giovanni Landolina, capitano di Noto, di far custodire il castelluccio o fortilizio esistente nel feudo Granerio, che era stato già assegnato a Venezia ed Isabella Palizzi; detraendo la spesa occorrente dai proventi del feudo medesimo, non ostante altro precedente ordine che disponeva il contrario: essendo che i proventi della terra di Noto appena bastavano per la custodia dei due castelli di quella terra, e non era conveniente di far cadere il castelluccio di Granerio, perché privo di custodi, in potere dei nemici”.

Il Landolina non esegui però l’ordine perché, ancora in agosto, il sovrano si vide costretto a ribadirlo affermando che, le due sorelle Palizzi, “non avevano come altrimenti sostentarsi”.

In queste fasi convulse di guerra civile Giovanni Landolina risulta essere uno degli uomini di punta della dinastia aragonese, non solo perché tiene saldamente ancorata alla fedeltà regia Noto, ma soprattutto perché quel territorio rappresenta uno snodo importante del conflitto essendo “terra di frontiera” con la vicina Modica, roccaforte dei Chiaramonte.

Nel 1357 Federico IV gli concede in feudo le saline di Capo Passero, già appartenute al traditore Tommaso Romano. Nel marzo del 1358 il re gli invia una lettera in cui manifesta la sua intenzione di “sterminare i nemici nella prossima primavera, e segnatamente di ridurre Lentini con fame, ferro e peste alla regia obbedienza”.

La sua partecipazione a quella campagna militare gli fu però fatale. Seguendo gli ordini del re, Giovanni Landolina partecipò con i suoi uomini all’assediò di Lentini che però, continuando a ricevere rifornimenti, resisteva a oltranza. Perciò Artale Alagona, che era a capo di quell’armata, decise di dirigersi verso Vizzini ma ciò diede modo ai chiaramontani di Lentini di approfittarne, volgendosi a loro volta verso Noto.

Cosi Tommaso Fazello, a metà del Cinquecento, descrive quello che successe:

Mentre che Artale facea queste cose, i Chiaramontani avendo messe insieme le forze loro, usciti fuori di Leontino, andarono alla volta di Noto: ed essendo venuti alla rocca detta il Castelluccio, fecero quivi una imboscata, e poi si misero a predare e guastare il contado: il che veduto da Giovanni Landolina, uscì fuori co’ suoi, e gli andò cacciando per fino al Castelluccio, dove a posta s’andavan ritirando: ma usciti fuori quieti dall’ imboscata, assaltaron bravamente Landolina, e mandati i suoi in rotta, fecero lui prigioniero, e cavategli l’armi di dosso, gli tagliaron la testa. (T. Fazello, De rebus Siculis decades duae, 1558 – Versione italiana di R. Fiorentino, 1833):

Oggi del luogo in cui perse la vita il Landolina, probabilmente sguarnito già agli inizi del XV secolo, non rimangono che pochi resti visibili: un precario portale d’ingresso, le basi di due torri quadrate, vari sistemi di drenaggio delle acque piovane e due cisterne.

Alla stessa epoca sono probabilmente databili anche le fondazioni di alcune abitazioni, a pianta quadrata, lungo il crinale est.

Il Castelluccio di Noto

di Marco Monterosso

 

 

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