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Il castello svevo di Augusta

di Marco Monterosso
cstello svevo

Una delle conseguenze accertate della rivolta anti sveva cui partecipò Siracusa nel 1232, fu la perdita di parte del suo territorio in favore della nuova città di Augusta, la cui edificazione fu avviata da Federico II subito dopo la repressione della sommossa.

La necessita di tenere a bada le irrequiete città della costa orientale portò alla costruzione di una rete di castelli regi tra cui anche quello della nuova città di Augusta.

Da una serie di documenti sappiamo che questo venne costruito tra il 1232 e il 1242 quando, sulla sommità della porta di Tramontana, venne apposta un’iscrizione, oramai scomparsa, che ne attribuiva la realizzazione a Federico II.

Il nucleo svevo del castello, edificato in posizione preminente, a circa 25 metri sulla superficie del mare, era costituito da un quadrato murario di mt 62 di lato e spessore di mt 2,60, circuito da un fossato, successivamente colmato, dotato di tre ponti levatoi.

Quattro grandi torri quadrate ne chiudevano i vertici, mentre altre quattro di forma rettangolare e poligonale, nei punti mediani, proteggevano l‘ampiezza dei lati.

All’interno del cortile interno, ampio circa 31 mt per 26, era presente un pozzo per il prelievo dell‘acqua dalla falda freatica e tre ali edilizie parallele alle mura perimetrali per tutta la loro lunghezza.

Dal portico si accedeva ad alcuni grandi vani di cui due di circa 57 mt per 7 ed un altro della stessa larghezza ma lungo 36. L‘altezza delle crociere di questi vani era di circa nove mt dal piano di calpestio. (G. Agnello, L’architettura sveva in Sicilia, 1935)

 

Il castello svevo di Augusta

Nel 1282, dopo la breve dominazione angioina, la città ed il suo castello passarono agli aragonesi che nel 1319 li concessero in feudo a Guglielmo Raimondo (I) Moncada, il cui figlio omonimo ottenne il titolo di conte nel 1337.

Nel gennaio del 1379, il castello accolse l’erede al trono di Sicilia Maria d‘Aragona che il conte Guglielmo Raimondo (III) Moncada, aveva strappato alla prigionia del castello Ursino dove era stata segregata dal reggente Artale Alagona.

Per questo motivo Augusta venne assediata, ma prima della sua conquista avvenuta nel 1382, Maria e lo stesso conte d’Augusta riuscirono a riparare in Catalogna dove furono accolti da re Pietro IV.

Quando Maria e il suo sposo, Martino “il Giovane”, sbarcarono in Sicilia nel 1392 il Moncada divenne il più influente feudatario del regno, ottenendo importanti incarichi e gran parte dei beni già posseduti dai Chiaramonte e dagli Alagona, dichiarati ribelli. Tra XV e XVI secolo la città e il suo castello, in una giravolta di permute, concessioni e vendite, passò di mano innumerevoli volte finché nel 1567 la contea, per l’incapacità dei suoi feudatari di difendere la città dalle ricorrenti incursioni barbaresche, venne definitivamente soppressa e reintegrata al regio demanio.

Acquisito il pieno controllo della città la corona avviò, nella prima metà del ‘600, imponenti lavori di fortificazione che stravolsero l’originario impianto svevo della struttura. (L. Dufour, Augusta da città imperiale a città militare, 1989) Fu realizzata una cortina muraria dotata di quattro bastioni – Vigliena, S. Bartolomeo, S. Filippo e S. Giacomo – e si procedette al taglio dell‘istmo che collegava la cittadella alla terraferma.

In questo periodo il castello era dotato di 40 bocche da fuoco tra cui 16 pezzi di artiglieria di grosso calibro e da 4 mortai disposti sulle torri e lungo il coronamento della cortina del mastio. (Catalogo generale dei BB.CC. scheda 261125). Il porto venne inoltre rafforzato con la realizzazione dei forti Avalos, alla sua imboccatura, e Garcia e Vittoria, al suo interno, in una posizione in grado di incrociare i suoi tiri con quelli del castello.

Il castello svevo di Augusta

Nel 1675, nonostante queste imponenti opere di difesa, la città cadde però facilmente in mano ai francesi che tennero il castello per ben tre anni.

La gravità degli avvenimenti spinse le autorità a procedere ad ulteriori lavori di fortificazione affidati al De Grunemberg, il più qualificato ingegnere militare in servizio in Sicilia. Con un grande sbancamento, da levante a ponente, fu realizzata la piazza d‘armi che isolava la cittadella e verso il porto i baluardi S. Francesco e S. Teresa.

A protezione del fronte di terra sotto il castello vennero completati i baluardi di S. Giuseppe e S. Carlo mentre, sull‘istmo, fu allargato il fossato per realizzarvi nel mezzo un rivellino a protezione della costruenda porta monumentale.

Con questi interventi l‘accesso alla città era possibile attraverso due sole entrate controllate e difese con ponti levatoi e posti di guardia. (G. Vaccaro, Il castello di Augusta, 1988) Durante il terremoto del 1693 lo scoppio di una polveriera, oltre a causare la distruzione della torre mediana e di tutta l‘ala sud orientale, provocò la morte di 700 persone che si erano ritirate nella piazza d’armi ritenendolo un luogo più sicuro.

Con la ricostruzione della città nuovi lavori furono intrapresi anche nel castello e in pochi anni la cinta bastionata fu completamente ripristinata. Nel XVIII secolo l’avvicendarsi delle diverse dominazioni cui fu sottoposta l’isola, dai Savoia agli Spagnoli, dagli Austriaci ai Borbone, non portarono invece variazione alcuna nella consistenza del castello.

Dopo l’annessione al regno d’Italia, nel 1890, il vecchio castello venne trasformato in casa di pena, con l‘esecuzione di numerose opere, tra cui le sopraelevazioni per i piani di detenzione.

L‘infelice riadattamento delle nuove fabbriche, costruite sopra il grande cuneo del rivellino e sulla cortina meridionale del quadrilatero cinquecentesco fini per seppellire definitivamente, sotto il peso di deformanti sovrapposizioni, l‘antico castello.

Il castello svevo di Augusta

Foto tratte da:
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