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Francis Leckie: l’inglese che voleva “britannizzare” la Sicilia

di Marco Monterosso
Francis Leckie

Alla fine del ‘700, al crescente ma pur sempre modesto flusso di diplomatici, archeologi, naturalisti e giovani rampolli dell’aristocrazia che da qualche tempo per ragioni d’ufficio o di studio avevano scoperto il Sud Europa, in concomitanza con l’invio nell’isola di un contingente militare britannico in chiave anti napoleonica, si sovrappone la presenza di un cospicuo numero di mercanti ed imprenditori inglesi.

(R. Lentini, Dal commercio alla finanza: i negozianti-banchieri inglesi, 1988) Tra questi svolse un ruolo di apripista, ben prima della costruzione degli imperi economici messi in piedi nell’isola dai Whitaker e degli Ingham, la figura del “landowner” scozzese Gould Francis Leckie (1767-1850) che, dopo anni passati in India e in varie località del Mediterraneo, visse in Sicilia tra il 1801 e il 1807.

Convinto dal suo buon amico Francesco Saverio Landolina ad investire nel territorio siracusano, il 28 agosto 1802 ottenne in enfiteusi l’ex feudo ecclesiastico di Tremilia e il 30 luglio del 1804 la concessione dell’ex feudo di Cava Secca, anch’esso appartenente alla diocesi siracusana. (L. Gazzè, Il diario del cavalier Saverio Landolina, in Arch. storico siracusano, 2014) Attraverso cospicui investimenti il Leckie, con l’ausilio di un fattore appositamente chiamato dal Cambridge Shire, impiantò a Tremilia una fattoria sul modello inglese che, dotandosi di nuovo impianti colturali e sistemi d’irrigazione, divenne presto una delle più produttive dell’area. Al Leckie si deve anche la ristrutturazione e l’ampliamento della bella villa posta sotto le balze dell’Epipoli che fungeva da centro direzionale dell’ex feudo, visitata ed illustrata da Karl Friedrich Schinkel. (Immagine di copertina) Se l’attività imprenditoriale del Leckie fu rivolta principalmente al settore agricolo fu al contempo decisamente interessato alla vita politica dell’isola, intrattenendo stretti rapporti sia con le menti più progressiste del panorama siciliano sia con i più importanti personaggi britannici del Mediterraneo.

Nominato agente consolare del Regno Unito in città e subdelegato per la costruzione delle strade nella comarca siracusana, richiese anche di essere iscritto nella “mastra nobile”, richiesta che venne però respinta per la ferma opposizione dei nobili siracusani. (S. Russo, Gould Francis Leckie e Siracusa, Arch. storico siracusano, 1990),

Francis Leckie: l’inglese che voleva “britannizzare” la SiciliaLa sua conoscenza della realtà siciliana e l’essere divenuto una sorta di consigliere dell’inviato britannico a Palermo William Drummond, lo portò progressivamente a divenire una sorta di “eminenza grigia” tra i militari inglesi nell’isola. Proponeva infatti di fare della Sicilia una base avanzata di una guerra contro-rivoluzionaria da estendere all’intera penisola. Guerra che, da vero precursore, non considerava però solo di flotte ed eserciti ma giocata anche sul campo ideologico, con la messa a punto di azioni in grado d’influenzare l’opinione pubblica su posizioni filo britanniche. Rientrato in patria nel 1808, probabilmente per essere entrato pubblicamente in contrasto con la corte borbonica, diede alle stampe un volume in cui delineò una dottrina definita “insular strategy”. (D. D’Andrea, Gould Francis Leckie and the “insular strategy”, 2006) Strategia che prevedeva l’annessione della Sicilia – insieme alla Corsica, all’isola d’Elba, Malta e alle cosiddette “isole dello Ionio”, già occupate militarmente dagli inglesi – ad una sorta di colonia britannica del Mediterraneo, definita “impero delle isole”. La scarsa considerazione che nutriva nei confronti del governo e della classe dirigente borbonica lo indusse a proporre di imporre ai siciliani una costituzione basata sul modello inglese, senza nemmeno consultarli.

Seppur le intransigenti proposte del Leckie furono dapprima considerate irrealizzabili da parte della diplomazia inglese è fuor di dubbio che esse finirono per influenzare profondamente gli orientamenti di quel governo, spingendolo a prendere in mano direttamente la questione delle riforme istituzionali, considerate ormai non più prorogabili. Dopo l’abdicazione del re e la firma della nuova costituzione Lord Bentinck, comandante in capo delle forze britanniche in Sicilia, ruppe infatti gli indugi e nel dicembre 1813, in una lettera a Francesco I, gli proponeva senza mezzi termini di rinunciare alla Sicilia cedendola all’Inghilterra, in cambio una compensazione in denaro. Di lì a pochi mesi solo la provvidenziale caduta di Napoleone, indusse gli inglesi a rinunciare al loro sogno di fare della Sicilia “la più splendida gemma della corona d’Inghilterra”. (D. D’Andrea, Nel decennio inglese 1806-1815, 2008).

 

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